La fotografia è arte?

È una buffissima questione quella della fotografia, perché da sempre coinvolge gli artisti, è un linguaggio in parallelo con il linguaggio degli artisti, in antagonismo ogni tanto con il linguaggio degli artisti, autonomo o coinvolto;

in un modo anche molto perverso e complesso perché non c’è dubbio che se gli impressionisti decidono di fare una mostra vanno da un fotografo a farla: da Nadar, nel 1874. Perché il fotografo rappresenta già una sorta di percorso di frontiera nel mondo dell’immagine. E se lo fanno da un fotografo, probabilmente è perché hanno già intuito una cosa curiosissima: che la fotografia non rappresenta la realtà. La pittura è molto più abile a rappresentare la realtà della fotografia;

Un paesaggio è molto più raccontato in un quadro di Bellotto, che lo smonta nei segni primari di quanto non lo sia nella fotografia.

Perche?

Perché nella realtà noi non vediamo con gli occhi, noi vediamo col cervello, e il cervello più è portato in un ambito di precisione nel capire, meno capisce, più si accorge che il mezzo è finto.

Questo è uno dei primi limiti curiosi e straordinari della fotografia che già allora, probabilmente, gli impressionisti avevano capito; e che ci si porta appresso fino da oggi fino al punto in cui oggi si parla del linguaggio fotografico, il che di per sé è una sorta di confusione concettuale illimitata, perché sarebbe come dire il linguaggio del pennello: con il pennello si può fare l’imbianchino, con il pennello si può dipingere le insegne del tabaccaio, si può mettere la riga sulla carrozzeria della Bentley, oppure si può dipingere un quadro, quindi non esiste un linguaggio del pennello. Lo usano anche le signore per farsi il trucco o per farsi le unghie. Che rapporto c’è tra mettersi il Rouge Noir sulle unghie e Francis Bacon? Nessuno.

Per la fotografia esiste esattamente una sua… vive una sua vita, la fotografia, identica: cioè di confusione assoluta, perché la macchina non definisce di per sé un linguaggio, sono tantissimi i linguaggi fotografici. Tra l’altro viviamo in un paese che ha avuto la genialità di intuirli quasi subito da quando Michetti alla fine dell’800 faceva le foto per fare i quadri. Aveva già capito che era uno strumento di lettura, e uno strumento assolutamente preciso di lettura che rappresentava una quota della realtà, cioè quella insensibile. Lo aveva capito Bragaglia, che aveva capito che la fotografia e il futurismo potevano essere in alcuni casi la stessa cosa, come lo avrebbe capito dopo poco anche Man Ray. La fotografia vive tante realtà diverse. È diventata arte, è arte. Certo, tutto ciò che si esprime può esprimersi come un gesto artistico, perché l’arte non sta nel materiale; l’arte sta nella componente psichica di chi compie il gesto, cioè l’arte è un fatto umano, non è un fatto meccanico. Quindi si può fare arte con la fotografia, come si può fare arte con la lettera 22, come con un computer recentissimo, se si scrive un romanzo.

Il testo che avete appena letto è una parte dell’intervista a Philippe Daverio sul tema della fotografia.

Questa intervista nasce dalle riflessioni sul tema della fotografia come linguaggio in seguito alla lettura di alcuni testi critici di Giovanni Chiaramonte.

Fin dalla nascita della fotografia esiste una grande confusione riguardo al suo rapporto con la questione artistica. La riflessione critica del prof. Daverio sulla eventuale distinzione, tra fotografia e arte riconduce il cuore della questione ad un livello più alto dove l’aspetto fondamentale che emerge è il valore culturale della fotografia come qualsiasi espressione dell’umano.

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